Davide Guadagni – www.pisainforma.it

Luciano Lischi era, prima di tutto, un uomo squisito. Mite, gentile, rispettoso, umano. Era puro come persona e come editore, in entrambi i casi una vera eccezione. Come editore era anche altro, però. Quando si trovò a guidare una delle più antiche case editrici italiane lo fece con la grande consapevolezza di quanto quel ruolo potesse essere interpretato come servizio alla storia. Di una comunità, di un paese. A Pisa, grazie a lui e a questo suo modo d'intendere il suo mestiere sono rimaste opere preziosissime.

Per la nostra città il suo sodalizio, che fu anche umano, con Emilio Tolaini ha lasciato un'eredità capitale di memoria e di cultura. “Forma pisarum” nasce da questo e, quel testo, è oggi e per sempre sarà, il cardine e la chiave per tutti coloro che vogliano comprendere questa nostra città. Con Tolaini poi fecero anche altro, si divertirono, dando vita ad opere “minori” che lo scorrere del tempo ha mostrato che non lo sono affatto.

“Il grande gioco pisano dell'oca” che data 1963 (recentemente e meritoriamente riproposto da Alfea), ad esempio, rimane una lezione di didattica e di divulgazione di una essenzialità e di una modernità impressionanti. Diffondiamolo nelle scuole avremo dei giovani più consapevoli e divertiti. Altri hanno detto e diranno poi della sua passione per l'acqua tradotta in una collana che con Mauro Mancini crebbe e si trasformò in un indispensabile guida per chi va per mare. Dei suoi incontri e delle collaborazioni con i massimi letterati italiani del Novecento. Della antichissima rivista “Terme e riviere” che ebbe uno spessore ben superiore a quello di pubblicazioni analoghe. Di queste e d'altre delle sue mille imprese.

Io mi voglio soffermare, invece, su una delle sue ultime idee che si colloca, non a caso, nell'ultimo degli anni del secolo scorso. Il tentativo di riesumare una vecchia testata pisana: “La Gazzetta di Pisa” che raccolse attorno a un tavolo, al piano superiore della sua casa di Porta a Lucca, un gruppo di persone molto eterogenee ma, ognuno a suo modo, significative per Pisa. Su quella rivista comparvero in varia forma contributi di riflessione e di elaborazione che, col senno di poi, risultano gli ultimi bagliori di un crepuscolo (culturale, ma non solo) a cui la nostra città pare oggi irrimediabilmente destinata. Scrivevano lì Nardi, Bigongiali, Piccioni, Jacono, Martinelli, Di Donato, Franchini, Pitschen, lo stesso Tolaini. Vi collaborò attivamente anche Giugi De Felice che, nel dibattito della redazione, lasciò memoria del suo rigore e della sua etica intransigente e preveggente.

Lischi (e solo lui avrebbe potuto) era riuscito a creare quel coacervo di pensieri e personalità diverse che, avvicinandosi, anche se per un breve periodo, si capirono di più e si contaminarono a vicenda. Fu una lezione per tutti. L'ultima, forse, che questo grande editore ci ha lasciato. Lezione di fatti, come tutte le altre.